Il medioevo orientale di Geo Pistarino

di Sandra Origone

La cattedra genovese di Storia medievale, tenuta da lui come ordinario dal 1966, aveva dato a Geo Pistarino l’occasione di inquadrare più da vicino i risvolti della storia mediterranea che fino ad allora egli aveva solo sfiorato grazie al suo interesse per la Lunigiana e alla continuazione del lavoro di edizione di fonti della Liguria orientale, avviato dal suo maestro Giorgio Falco con la pubblicazione delle carte del Monastero di San Venerio del Tino. La sua attenzione per il mondo bizantino venne più tardi. Da medievista egli considerò Bisanzio nella prospettiva della storia occidentale e, dunque, del significato, da una parte, della presenza bizantina in Italia nei primi secoli del medioevo, dall’altra, dei contatti e degli insediamenti latini in Oriente in età successiva, come possibilità di incontro con altri popoli, come opportunità di sperimentazione istituzionale e come fonte di arricchimento.

Ma prima di rivolgermi ai contenuti del suo lavoro vorrei ricordare la mia esperienza di allieva. Una delle letture che consigliava era The making of Europe dello storico britannico Christofer Dawson (1889-1970). Il saggio, pubblicato in lingua italiana (La nascita d’Europa: le matrici della cultura europea) da Einaudi nel 1959 e ripreso da Mondadori dieci anni dopo nella pregiata traduzione di Cesare Pavese per la collana “Il Saggiatore”, dopo quasi cinquant’anni di avanzamento della ricerca bizantinistica è ampiamente superato là dove si occupa dell’impero orientale. Vale la pena, però, di ricordare aspetti che il Maestro ci faceva osservare all’inizio degli anni Settanta e che valgono ancora oggi. Dawson era un medievista, convinto della superiorità dell’Occidente cristiano, dove la chiesa aveva conservato la sua indipendenza ed era stata capace di un’iniziativa sociale e morale che all’Oriente cesaropapista era mancata. L’Autore inglese aveva sottolineato,tuttavia, anche l’importanza delle realtà che attorniavano l’Occidente: i popoli nordici, assorbiti grazie alla cristianizzazione a formare un tutt’uno con esso, e le altre culture del Mediterraneo, Bisanzio e l’Islam, controparti attive ed efficaci del mondo di tradizione carolingia. Dal contatto con queste civiltà superiori, l’Europa avrebbe tratto “un lievito di influssi orientali” che la fecero crescere sino al XV secolo e dare i suoi frutti nell’età umanistica. Al pari di Dawson Geo Pistarino, occidentalista, si era entusiasmato per quel mondo che aveva costituito una riserva di opportunità culturali e materiali per l’Occidente arretrato. Nutrendoci di questi ammaestramenti Pistarino ci aveva instillato la concezione di un medioevo senza confini o, perlomeno, emisferico e multiforme grazie ai contatti che si erano moltiplicati a partire dai secoli X-XI. Questo medioevo non andava ricercato in una visione univoca, bensì nella complessità delle interazioni. Non a caso negli anni Settanta, quelli in cui io ho incontrato la Scuola genovese, si era consolidato il suo sodalizio con Roberto Sabatino Lopez, che aveva dedicato uno dei capitoli della propria opera, La nascita dell’Europa, uscita a Parigi nel 1962, al medioevo degli orizzonti aperti. Sono queste le premesse storiografiche degli studi sulla presenza dei genovesi nell’Oriente e nel mar Nero, da lui avviati e proseguiti dalla sua Scuola e dagli studiosi stranieri che hanno fatto riferimento al suo insegnamento e ai suoi suggerimenti.

La produzione di Geo Pistarino sull’Oriente è ricca, disseminata in una serie di articoli ed interventi, in buona parte rivisti e raccolti nei volumi miscellanei dell’ultimo periodo. Per comprendere questo aspetto peculiare dei suoi interessi verranno qui esaminate alcune tematiche su cui aveva indirizzato le proprie indagini: 1) l’eredità bizantina in Italia, con particolare riferimento alla Liguria e alla Sardegna; 2) la presenza dei genovesi negli spazi orientali di tradizione bizantina: rapporti con l’impero e con le popolazioni locali; 3) il contributo genovese alla difesa di Costantinopoli.

All’inizio degli anni Sessanta il mondo mediterraneo bizantino aveva attirato l’attenzione dello storico su argomenti diversi per l’approccio metodologico e per la contestualizzazione geografica, tutti peraltro riconducibili al lascito bizantino nel contesto della civiltà dell’Occidente mediterraneo. Il primo di questi saggi, pubblicato nel 1960-61, indaga l’influsso di Bisanzio sulle feste religiose e sull’onomastica del calendario sardo, confutando le congetture degli eruditi del passato e confrontandosi con la cultura interdisciplinare che si era occupata dell’argomento. Fin da allora l’ampio significato da lui attribuito alla civiltà mediterranea gli suggeriva di appoggiare la ricerca, impostata sui Padri della Chiesa e sull’agiografia, su metodiche di tipo antropologico, utili a valutare la persistenza di usi e tradizioni a livello regionale e subregionale, e di allargare il confronto con Bisanzio (dimostrazione dell’origine bizantina di kaputanni) alla comparazione con altre aree di tradizione orientale, come quella russa (ebraico kenápura, parasceve, pasca, attraverso la tradizione cristiana→Santa Parasceve dei greci, Paraskiva di Novgorod, Pasca, sardo, per le più importanti feste liturgiche) o quella romena (mes de argíolas, usato nel sardo del Campidano per indicare il mese di Luglio in riferimento all’esposizione del grano all’aria nelle aie, secondo una tradizione comune alle regioni greche dell’Italia meridionale riconducibile anche al termine romeno alonari).

Addentrandosi nel contesto genovese, Pistarino incontrava nella memoria della città segni concreti dei legami con l’impero orientale in tempi meno remoti, come il prezioso Volto Santo, conservato nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni a ricordare i rapporti del ceto mercantile con Costantinopoli. Se lo storico dell’arte – se ne era occupata Colette Dufour Bozzo – aveva evidenziato il valore artistico dell’opera di oreficeria bizantina, Pistarino nello stesso periodo si era occupato delle problematiche relative al rapporto del Volto Santo genovese con l’immagine edessena e della presenza a Genova del Mandylion. Erano le basi di una discussione che si è arricchita nel tempo. In seguito, dopo molti anni, Pistarino sarebbe tornato sul tema delle reliquie, che è storia di devozione, crociate, rapine e traffici da una sponda all’altra del Mediterraneo. Bisanzio è ancora una volta collegata all’immagine di Cristo nell’indagine sulla Sindone, laddove lo storico si interroga come il prezioso reperto possa essere pervenuto nella piccola chiesa di Lirey nel nord della Francia dal palazzo di Costantinopoli, dove presumibilmente era stato conservato fino al 1204.

Un diverso registro interpretativo, di tipo istituzionale, è usato in un altro importante saggio di Pistarino su La Liguria: regione nazione del 1971, da lui rielaborato e ripubblicato nel 1993. lI discorso mette qui in evidenza la fase della contrapposizione bizantino-longobarda come fattore determinante per la configurazione territoriale del Settentrione italiano ripartito per aree di influenza, rispettivamente denominate Romagna e Lombardia. Ancora dal conflitto bizantino-longobardo in una fase breve, durata nemmeno un secolo, ma spessa di significato, emerge la sagoma della Liguria marittima, che lo storico considera in riferimento alla costruzione più avanti, in età comunale, del districtus genovese. Notando che, se si vuole parlare di una nazione ligure, bisogna richiamarsi a progetti costieri, che come quello d’età bizantina mettano in relazione le città rivierasche tra di loro, rispecchino l’esigenza di collegamenti marittimi, esprimano la funzionalità politica, economica, strutturale di tale configurazione regionale, egli suggeriva di considerare l’assetto di quell’epoca come modello della forma attuale, che si era imposta nel secolo XII in conseguenza del risveglio delle attività marittime e della diffusione dei liguri nel Mediterraneo. Questo studio costituisce un fondamento, talvolta dato solo per scontato, delle dinamiche di formazione del districtus genovese, con la constatazione della difficile determinazione dei confini regionali, specialmente di quelli verso l’interno.

In seguito Pistarino si sarebbe sempre più concentrato sul carattere internazionale della storia genovese, di cui l’Oriente rappresentava un tema fondamentale che poteva essere esplorato alla luce di fonti inedite. Nella sua mente si stava delineando il concetto, che poi egli avrebbe sintetizzato nel titolo del volume La Capitale del Mediterraneo: Genova nel Medioevo. Genova è vista come una città che, nella prospettiva del ruolo di supremazia che avrebbe svolto, aveva utilizzato anche le forze regionali a sua disposizione. Il 1969 è l’anno in cui pubblicava quello che potrebbe considerarsi il manifesto dei successivi indirizzi della sua ricerca sulla diaspora medievale dei Genovesi. Proprio in questo saggio ben noto, intitolato Genova medievale tra Oriente e Occidente, sottolineava infatti che la storia di Genova è in realtà una storia di consorterie che assai meglio di una forza statale avrebbero potuto agire contemporaneamente su diversi fronti. Tra le numerose località del complesso mediterraneo sono menzionate anche quelle greche: Costantinopoli, con Pera bizantina e poi turca, l’impero di Nicea, Trebisonda, Chio degli Zaccaria, Lesbo dei Gattilusio. La storia mediterranea si configurava in ciò che egli avrebbe spiegato più tardi, come «una costruzione determinata da un più vasto complesso di forze, nel quale entrano tanto il fattore romano-cristiano-germanico quanto quello bizantino e slavo, tanto quello arabo-turco quanto quello mongolo-tartaro». Coerente con la linea tracciata, seguita da lui stesso e dai suoi allievi con indagini e approfondimenti, riconoscendo l’indubbia importanza del lascito storiografico di Roberto Sabatino Lopez ribadiva il significato della ricerca compiuta non da ripetitivi epigoni, ma per sviluppare un lavoro che si prospettava come ricostruzione di un modello riconducibile al confronto con una pluralità di contesti medievali diversi e ancora sondabile alla luce di ulteriori rinvenimenti archivistici. Questi interessi lo avevano avvicinato alla storiografia internazionale che aveva intuito il valore delle indagini da lui avviate per il medioevo di intere regioni scarsamente o per nulla documentate dalle fonti interne di quel periodo. Ed era questo che Pistarino aveva suggerito quando – in tempi non facili per questo tipo di operazioni – aveva aperto i contatti anche con i paesi dell’Est e del Sud-est europeo, trovando immediato consenso da parte degli studiosi stranieri.

Nelle regioni orientali che qui ci interessano, i genovesi tramite patti oppure tramite conquiste si erano sostituiti al potere bizantino. La produzione su questo argomento è quasi tutta rielaborata e raccolta negli ultimi volumi dello storico, e ad essi soprattutto farò di seguito riferimento. Da quando con nuovi accordi con Michele VIII Paleologo intorno al 1267-1268 si erano stanziati a Pera e con una concessione del khan tataro intorno al 1270-1275 avevano fondato Caffa, i genovesi avevano iniziato una sistematica operazione di conquista lungo le coste del mar Nero, le cui modalità perlopiù sfuggono al ricercatore o sono solo adombrate nelle fonti. In queste zone i genovesi, impiantandosi, creavano un nuovo tessuto mercantile sostituendo quello bizantino, sopraffatto dalla conquista bulgara, turca o mongolo-tatara, del territorio. Per fare un esempio la permanenza di Bisanzio come sostrato culturale ed etnico si coglie nel saggio A Chilia e Licostomo sulla foce del Danubio. In particolare l’esempio delle terre bulgare insegna che, anche dal punto di vista economico, non si poteva prescindere dal passato bizantino della regione, dal momento che a Chilia-Licostomo, insediamento genovese nel Trecento, si privilegiavano i rapporti commerciali con Costantinopoli-Pera, che i nomi dei porti erano greci e che «i greci costituivano tra gli orientali la comunità più numerosa ed attiva: sono gli eredi – Pistarino chiarisce – d’una tradizione storica locale dell’epoca bizantina e di una stirpe legata ai moduli della vita cittadina, all’attività commerciale e marinara, che li richiama in buon numero nella Chilia che i genovesi stanno valorizzando nel settore dei traffici intermarini». Attento ai rapporti tra i genovesi e l’elemento indigeno (capi locali, schiavi, trafficanti, individui residenti negli insediamenti mercantili o venuti dall’hinterland e solo temporaneamente presenti), Pistarino presta attenzione all’aspetto antropologico legato al mito dei genovesi, ancora oggi ricordati nella toponomastica dei castelli, da loro fondati e abitati lungo le coste del mar Nero, e paragonati nel folklore locale a semidei. Per lo storico il ricordo del nome dei genovesi (ghenos, Iguenouas, Genevis, a confondersi persino con Gin/Genius) presso le popolazioni pontiche rappresenta l’eco di una quotidianità e di un’ intensità di contatti, che andavano ben oltre gli aspetti mercantili, generalmente studiati per l’età medievale.

Il sostrato bizantino aveva certamente uno spessore ben più rilevante in insediamenti quali i quartieri di Costantinopoli, Pera, Focea-Chio, Lesbo, Trebisonda, dove patti con lo stesso impero e con i Comneni del Ponto ne avevano comportato la cessione ai genovesi. Fattori etnici, culturali, religiosi e istituzionali segnavano la differenza tra il mondo greco e quello latino che si incontravano in questi luoghi. Già riferendosi ai primi insediamenti a Costantinopoli nel XII secolo, Pistarino aveva sottolineato l’aporia del rapporto genovese con i due imperi, tanto per l’appartenenza di Genova al contesto occidentale, mentre i nuovi possessi creavano un vincolo con Bisanzio, quanto per il contrasto religioso e per la divergenza relativa alla priorità delle rispettive gerarchie ecclesiastiche. Al secoli XIII e XIV secolo riconducono i possessi di Focea, Chio e Lesbo. Si tratta di insediamenti che i genovesi si erano procurati con la conquista o con l’astuzia e il sostegno militare. Mi vorrei soffermare sull’attenzione che Pistarino rivolge agli aspetti istituzionali di questi contatti perché egli mostra bene che il peso commerciale ed economico degli insediamenti poggia sul fondamento politico dei trattati. Di per sé la documentazione costituita dagli atti notarili è una miniera di informazioni sulle società miste che si andavano creando in Oriente, che certamente Pistarino non dimentica e utilizza ampiamente, come fa nel volume su Chio per la Nuova Raccolta Colombiana, ma allo storico non sfugge che la loro esistenza si era potuta realizzare intorno al fulcro del potere bizantino, ovvero grazie a specifiche relazioni col basileus. Il suo primo saggio importante su Chio risale al 1969, Chio dei genovesi, pubblicato nella rivista «Studi medievali». Già qui è evidente che sia la dominazione degli Zaccaria, sia quella più tarda dei Maonesi si collegavano a diritti sull’isola risalenti al trattato del 1261 fra Genova e Michele VIII Paleologo. Cito sintetizzando le parole di Pistarino: Genova non poteva aver dimenticato la gravità della fine del governo degli Zaccaria a Chio e a Focea Vecchia e dei Cattaneo a Focea Nuova, tuttavia i fallimenti di riconquista di questi luoghi e l’effimera signoria di Domenico Cattaneo su Lesbo dovevano suggerire una certa prudenza e consigliare ai genovesi la ricerca di un nuovo accordo per la conferma del trattato di Ninfeo, che effettivamente fu voluta da Andronico III nell’ultimo periodo della sua vita e posta in essere, dopo la sua morte, dalla reggente Anna di Savoia con il trattato del 5 settembre 1341, cui seguirono, questa volta tra i Maonesi e l’impero, i patti del 1355 e del 1367. Era iniziato un periodo di consolidamento dei possessi genovesi sui territori dell’Oriente bizantino, laddove Pera era divenuta uno stato entro lo stato con il trattato del 6 maggio 1352 con Giovanni Cantacuzeno. Rappresenta un limite della nostra documentazione il fatto che per signorie individuali, come quella degli Zaccaria a Focea-Chio e dei Gattilusio a Lesbo, non siano pervenuti gli atti relativi alla cessione a Benedetto Zaccaria e a Francesco Gattilusio. Ma proprio, esaltando il legame tra l’impero e quest’ultima famiglia, Pistarino fa emergere la politica matrimoniale che aveva legato donne del clan Gattilusio alle dinastie imperiali di Costantinopoli (Caterina, figlia di Dorino, moglie del despota Costantino, futuro imperatore; Eugenia, figlia di Francesco, moglie di Giovanni VII) e di Trebisonda (Maria, figlia di Dorino, moglie di Alessandro, fratello di Giovanni Comneno). In realtà non c’è soltanto Genova con le sue aristocrazie mercantili tra gli interlocutori dell’impero studiati da Geo Pistarino. Nel XIV secolo compaiono minacciosi rivali gli Almugaveri e, nel XV secolo, dominatori attratti dalle nuove occasioni mediterranee, gli Sforza, signori Genova e perciò del suo impero sul mare, che lo storico aveva definito il commonwealth bizantino per il vincolo creato fra realtà differenti.

Il tramonto del medioevo orientale per Geo Pistarino è un lungo periodo tra la fine delle colonie pontiche e la nascita del mito dei Genovesi nel mar Nero, tra la fine di Pera e l’emergere di Galata turca, tra la fioritura del traffico dell’allume a Focea, Chio, Lesbo e l’occupazione ottomana delle isole dell’Egeo settentrionale, tra la caduta di Caffa, la diaspora in Oriente e la resistenza di Chios fino al 1566. Ma la vicenda della Romania che maggiormente lo intriga è la fine di Costantinopoli e il destino dell’ultimo difensore, il genovese Giovanni Giustiniani Longo, anche se tutto non finisce quel giorno, che segna solo l’inizio di un lungo distacco. Nella tarda mattinata del 29 maggio 1453 l’interlocutore dei Genovesi non sarebbe stato più il basileus Costantino XI, bensì il sultano Mehemed II. D’accordo con Georg Bratianu, Pistarino non solo sottolinea che Costantinopoli nelle mani dei turchi era ritornata ad essere la capitale di un grande impero, ma considera anche che quell’evento non segnò la fine di tutto per gli occidentali. Egli indaga i segni di una continuità delle attività genovesi dopo la resa di Pera, che sarebbe divenuta un centro di riferimento per i rapporti degli occidentali con la corte del Sultano, coglie i diversi segnali della permanenza dei genovesi, profughi cristiani in cerca di nuove sistemazioni nell’area pontica ben oltre la caduta di Caffa, indaga il significato della ricorrente signoria sforzesca su Genova che favorì il coinvolgimento del ducato nella politica e nell’economia del Mediterraneo.

In conclusione possiamo affermare che la storia di Bisanzio è per Pistarino un capitolo di storia mediterranea, una presenza dietro le quinte del suo impegno storiografico; è una storia che si è arricchita grazie all’edizione di fonti genovesi, da lui avviata, che hanno aperto squarci sul mondo mercantile tardo-bizantino, e che si è ampliata grazie ai suoi studi sui rapporti dinastici fra l’impero e le casate mercantili liguri e sui protagonisti genovesi della difesa della capitale greca e dei domini pontici. Penso, tra gli altri, ai lavori dei bizantinisti Nicolas Oikonimidès e Angeliki Laiou sull’attività dei mercanti greci negli insediamenti genovesi del mar Nero e al più recente lavoro di Christofer Wright sui Gattilusi, possibili grazie all’edizione delle fonti genovesi e allo sviluppo delle tematiche genovesi-orientali. Mi riferisco, inoltre, come continuazione del lavoro documentario all’ancor più recente edizione russa degli atti notarili dell’area pontica. E questo è il lascito duraturo del suo interesse per Bisanzio, un’apertura degli studi sugli orizzonti economici, geografici, politici culturali dell’Europa, da cui sono scaturite ulteriori ricerche in Italia e all’estero.

Scritti di Geo Pistarino sull’argomento trattato

Da kaputanni a triulas, Note sul calendario sardo, in «Atti della Accademia delle Scienze di Torino», II, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, 95 (1960-61), 459-519.

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I Gin Dell’Oltremare, Civico Istituto Colombiano, Studi e Testi 11, Genova 1988.

Genovesi d’Oriente, Civico Istituto Colombiano, Studi e Testi 14, Genova 1990.

I Signori del mare, Civico Istituto Colombiano, Studi e Testi 15, Genova 1992.

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L’ultimo eroe di Costantinopoli: Giovanni Giustiniani Longo, in La storia dei Genovesi, Atti del Convegno di Studi sui Ceti Dirigenti nelle Istituzioni della Repubblica di Genova, Genova, Giugno 11-12-13-14 1991, Genova 1994, XII.1, pp. 25-35.

Chio dei genovesi nel tempo di Cristoforo Colombo, Roma, 1995 (Nuova Raccolta Colombiana 12).

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Bibliografia

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Atti del Convegno di Studi Dall’Isola del Tino e dalla Lunigiana al Mediterraneo all’Atlantico In ricordo di Geo Pistarino (2017-2008), a cura di Laura Balletto – Edilio Riccardini, Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze «Giovanni Capellini», La Spezia 2009.

Notai genovesi in Oltremare. Atti redatti a Caffa ed in altre località del mar Nero nei secoli XIV e XV, sotto la direzione di S.P. Karpov, a cura di M.G. Alvaro, A. Assini, L. Balletto, E. Basso, St. Petersburg, 2018.

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